IL DOLORE E LA SPERANZA DELLE DONNE


NES Noi Ebrei Socialisti
אנחנו היהודים הסוציאליסטים

Il movimento femminista, che ha origine già dalla metà del XIX secolo con la richiesta di emancipazione femminile spesso portata avanti con una partecipazione entusiasta e determinante delle donne ebree uscite da poco dai ghetti europei (Monica Miniati “Le Emancipate”), negli anni ’60 del secolo scorso trova, ancora con un forte impulso ebraico, nuove strade e contenuti più avanzati. Si passa dalla richiesta di emancipazione, quindi di pari opportunità nel campo dei diritti civili, ad un movimento di rivendicazione del potere sul proprio corpo, dall’emancipazione alla liberazione, si diceva (i Betti Friedan e altre negli Stati Uniti, in Italia il movimento che nasce dal ‘68). Questo passaggio vedeva la pratica dei gruppi di autocoscienza, dove le donne cercavano nelle proprie interlocutrici uno specchio in cui riflettere i propri traumi, le proprie difficoltà. Ci si riconosceva e sosteneva, si imparava a tentare di superare la competizione fra donne sulla quale il mondo maschile aveva da sempre giocato per imporre il proprio potere.

Le donne si scoprivano capaci di entrare con forza in tutti i campi delle competenze che fino ad allora erano state loro negate. In cinquant’anni si è visto un mutamento enorme nella società. Anche in Italia le donne hanno potuto accedere a tutte quelle professioni che erano state per secoli appannaggio dei soli uomini. Eppure ci sono oggi fortissime spinte per togliere alle donne i diritti conquistati come il diritto a decidere se e come abortire o il diritto a vivere la propria vita liberandosi di un partner violento. In tutto il mondo occidentale e anche in Italia non diminuiscono i femminicidi. Negli altri Paesi non sappiamo. Spesso alle donne vengono offerte quote rosa che sarebbero una buona cosa se non persistesse nella società un atteggiamento e un linguaggio maschilista, se le donne non fossero sempre costrette a mostrarsi migliori, a lavorare di più e meglio per conquistare la considerazione loro dovuta. Fra l’altro nella nostra società spesso non sono riconosciuti diritti al welfare per cui le donne si sobbarcano senza alcun compenso le cure dei congiunti, spesso devono ricorrere al part time lavorativo per far fronte ai molti impegni, e viene chiesto loro di fare figli senza il dovuto supporto da parte delle istituzioni. E senza la possibilità di mantenersi le donne spesso si ritrovano senza la possibilità di decidere della propria vita senza dipendere da altri. Molto spesso i problemi che sembravano superati si ripresentano a volte con maggiore virulenza. Assistiamo a stupri anche di gruppo anche da parte di giovanissimi e le famiglie spesso non riconoscono la colpa dei propri figli maschi.

La società italiana deve imparare ad accogliere altre culture e a confrontarsi con altre mentalità. Questa società deve riconoscersi come multietnica dandosi regole precise ma lasciando spazio anche alle altre culture presenti. In particolare molte donne migranti hanno bisogno di vari tipi di supporto e la questione è molto delicata.
La scuola dovrebbe farsi carico della formazione e dell’informazione nei confronti delle fasce più deboli ma anche di tutte le studentesse e di tutti gli studenti promuovendo la conoscenza e il rispetto reciproco. Ma in questo ultimo periodo ci accorgiamo sempre di più della confusione che regna fra le giovani e i giovani e non solo. La società dell’immagine, dei social, delle notizie false e gonfiate, dell’ideologia vuota di contenuti ha creato danni che rischiano di essere irreparabili. Lo abbiamo visto nel riproporsi dell’odio verso Israele e gli ebrei dopo il 7 ottobre. È stato terribile per noi donne vedere la reazione delle nostre “sorelle” di fronte alle violenze del 7 ottobre.

Già dal 25 ottobre il movimento delle donne, sceso in piazza nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, ha rifiutato di riconoscere la violenza perpetrata dai militanti di Hamas sulle donne israeliane violentate, assassinate o rapite il 7 ottobre. Abbiamo visto un attacco durissimo a chi chiedeva un riconoscimento e una solidarietà di genere di fonte a tanta perfidia. Qualche attivista è arrivata a dire che lo stupro fa parte dei normali effetti collaterali della guerra. Da allora, anche di fronte alla tragedia della guerra e al crescere della propaganda antisemita fatta propria dal movimento “Free Palestine” in modo massiccio usando tutti gli strumenti mutuati da vecchi protocolli, rispolverando vecchi pregiudizi e vecchie leggende come quella del complotto degli ebrei che vogliono dominare il mondo, degli ebrei ricchi e strozzini, degli ebrei che amano uccidere i bambini degli altri, del deicidio e così via, l’odio è cresciuto e purtroppo si è espresso in modo protervo anche e forse soprattutto da parte di quelle fasce di persone dalle quali ci si aspettava se non altro attenzione ed equilibrio, come i movimenti “femministi”, o le università.

Noi non difendiamo la politica di estrema destra che ha portato Israele in questa trappola della quale si fa fatica a vedere una via d’uscita. Noi siamo vicini al movimento di opposizione che da mesi manifesta contro i tentativi autoritari del governo. Noi non amiamo chi in Cisgiordania fa razzie contro i contadini palestinesi e sradica i loro alberi. Noi pensiamo che debbano essere stabiliti confini sicuri per i due popoli e regole di convivenza che implichino il reciproco riconoscimento. Ma non è questo che ci viene richiesto da queste frange antisemite che così bene hanno attecchito nel movimento delle donne.

Ogni tentativo di dialogo viene negato, Israele è demonizzato in tutte le sue espressioni. Il movimento socialista dei kibbutzim viene visto come un modo di espropriare i palestinesi delle loro terre, i diritti dati alle donne come una mistificazione. Le ragazze che fanno il militare anche con funzioni di comando sono viste come guerrafondaie assassine, le libertà che Israele garantisce a ogni tipo di diversità sessuale come una mistificazione: l’accusa di razzismo e apartheid viene lanciata senza alcuna prova o fondamento o distinguo.

Anche l’8 marzo si sono visti in più occasioni i risultati della campagna di odio. È stata contestata la presentazione del libro “Golda” sulla figura di Golda Meir, sono stati contestati con l’accusa di "sionisti" giornalisti che dovevano partecipare a un dibattito e, cosa gravissima, è stata cacciata con male parole a Firenze dal corteo delle donne una ragazza con un cartello che ricordava la strage e gli stupri del 7 ottobre.

Qualcuno ha scritto che il 7 ottobre il movimento femminista è morto. Non vogliamo crederci ma pensiamo che le donne ebree possano avere ancora una volta un ruolo trainante per cambiare questo stato di cose. Facciamo riferimento alle donne che da anni in Israele portano avanti percorsi di dialogo e di pace fra ebrei, arabi, drusi e tutte le etnie e le culture presenti, con varie iniziative tutte rivolte alla pace. Queste donne ci ricordano le Madri di Israele, tutte quelle eroine come la grande regina Ester che hanno salvato il popolo in diverse occasioni; e tutte quelle donne che hanno acceso per secoli le candele dello Shabbat, mantenendo i valori di giustizia e solidarietà che compaiono nelle Scritture e in particolare nei sette principi Noachidi che ci impongono di accogliere lo straniero che rispetti alcune regole fondamentali di umanità.

NES Noi Ebrei Socialisti

Data: 2024-04-08
Autore: NES Noi Ebrei Socialisti

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