DIVERSITA' CULTURALE, UNO STRUMENTO DI TRATTATIVA PER LA PACE


A Massimo Pieri Z’’L,
Maestro e Uomo di Pace.

Dal principio alla fine dei tempi, l'ebraismo, come espressione della diversità culturale[1], con i patriarchi, i prìncipi, i giudici, le guide politiche, i condottieri, i pastori, i profeti, i maestri, la Legge, il popolo tutto, sia strumento di Trattativa per la Pace, come è detto:

"Allora regnerà la pace. Quando l'Assiro [NdT simbolo del nemico in generale] verrà nel nostro paese e penetrerà nei nostri palazzi, noi gli solleveremo contro sette pastori e otto príncipi del popolo" (Michá 5,4).
"Chi sono questi sette pastori? David, al centro; Adamo, Seth e Matusalemme, alla sua destra; Abramo, Giacobbe e Mosè, alla sua sinistra. E chi sono questi otto príncipi del popolo? Yshay, Saul, Samuele, Amos, Sofonia, Ezechia, Elia e il Messia.” (TB Sukká 52b).

La trattativa è un fondamento dell’eredità ebraica dai tempi di Noè dopo il Diluvio, di Abramo a Beer Sheva, di Giacobbe a Bet-El, di Mosè in Egitto, del popolo di Israele sotto il Monte Sinai.
Memori di questo vitale retaggio, che ha consentito agli ebrei nel corso della loro storia millenaria di liberarsi dalla schiavitù d’Egitto per autodeterminarsi, quindi sopravvivere, emanciparsi e vivere liberi sia nella Terra di Israele che nella diaspora, noi oggi chiediamo una nuova coraggiosa trattativa in Medio Oriente, come processo preparatorio di un futuro accordo o di un patto, nel quale la diversità culturale sia ancora una volta strumento di giustizia e di pace.

Chiamare alla trattativa (in ebraico massà umatàn, prendere e dare) significa svolgere un ruolo propositivo, cercare interlocutori validi, lavorare per un riconoscimento reciproco, anche parziale, anche nel conflitto, valorizzare gli aspetti non divisivi, immaginare il futuro. Chiamare alla trattativa culturale è molto di più perché muove dal presupposto che la diversità esprima legami culturali profondi, che sfuggono alla corrente visione politica laica, moderna e mediatica, e che tuttavia agiscono potentemente e vanno tenuti in considerazione per poter anche solo immaginare un’attenuazione dell’intensità del conflitto o una soluzione equa.

Un esempio di felice risultato di trattativa da parte ebraica che risale al secolo scorso, è la Dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele del 14 maggio 1948, che annuncia il legame spirituale, giuridico, politico, storico, linguistico, nazionale, del popolo ebraico con Eretz Israel. L’atto decreta la rinascita dello stato ebraico con il nome di Stato d'Israele, fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace, come predetto dai profeti d'Israele, e auspica la pacifica convivenza, la collaborazione, l’aiuto reciproco con i cittadini arabi, gli Stati vicini e i loro popoli.
È un documento strategico, un precedente importante, che può costituire un modello anche per i Palestinesi che decidano di impegnarsi nel loro processo di autodeterminazione e indipendenza.

Sappiamo che al riconoscimento della vigorosa relazione fra il popolo ebraico e la Terra si sono opposti in molti, fino ad oggi. Si è opposto per secoli il cristianesimo che ha immaginato con la teologia della sostituzione e la rivendicazione del verus Israel, di sostituirsi agli ebrei in quel vincolo ancestrale. Questo è antisemitismo. Altre entità politiche o religiose, condannando oggi il Sionismo, continuano a contrastare e a disconoscere quel legame spirituale e giuridico primigenio che il ritorno del popolo ebraico nella Terra di Israele ha solo rinnovato. Anche questo è antisemitismo.

Opporsi al diritto dello Stato di Israele ad esistere in pace e sicurezza non serve alla causa palestinese (perché questo diritto non è negoziabile); serve invece impegnarsi finalmente in una trattativa per la propria rinascita culturale e politica.

Sono in corso i negoziati in Medio Oriente; bisogna enfatizzare il tema della trattiva e farne un messaggio di comunicazione d’avanguardia e uno strumento di pianificazione. Da tempo noi esortiamo alla Trattativa Culturale Permanente (per la Pace) che tenga in considerazione ogni relazione ancestrale, storica o attuale con la Terra, che le parti esprimono, valorizzando i diversi specifici aspetti giuridici, spirituali, culturali, linguistici, storici. Nell’ambito della evocata Trattativa Culturale Permanente, chiediamo di trasformare il conflitto armato in un confronto politico-culturale e di sensibilizzare gli attori principali ad ampliare lo spettro del negoziato e ad inserire elementi culturali, mai davvero considerati, anche tramite la formazione di nuove leadership che sappiano valorizzare la diversità.

Il popolo ebraico è molto antico; così come è in grado di distinguere tra un pogrom e una lotta di liberazione, essendo stato tante volte nel corso della storia vittima del primo e protagonista del secondo, così sa anche gestire una trattativa, essendo questa un prezioso retaggio della sua diversità culturale.

Spetta oggi ai Palestinesi, che vogliano autodeterminarsi come popolo e nazione, costruire con una trattativa il proprio diritto all’indipendenza. Non vi è altra strada: “Cerca la pace e rincorrila” (Tehillim 34, 15).

[1] La Diversità Culturale (e Linguistica), è lo strumento, l'arte o il mezzo, la tecnica di esistenza, con cui l'umanità entra in relazione con la Diversità Ambientale, la percepisce, la conosce, la gestisce, la conserva, l'accresce. La Diversità Culturale esprime una relazione locale e funzionale dell'umanità con il suo ambiente ecologico ed è fonte di soddisfazione e felicità per chi la pratica. (tratto da Gherush92, Risoluzione di Roma, Linee Guida per la Protezione della Diversità Culturale).

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Data: 2024-08-27
Autore: NES Noi Ebrei Socialisti

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