UN COMMENTO SULLA PARASHA' DELLA SETTIMANA



Un ammonimento contro l’idolatria l’interessante commento di Yeshayahu Leibowitz all’ultima parashà Vezot Habrachà.
La constatazione che il Tempio che sorge oggi sul Monte Morià (Monte del Tempio) non è un luogo di idolatria, deve essere interpretata come una premessa culturale fondamentale per una futura riconciliazione fra ebraismo e islam. Si deve infatti vigilare e - come fece Mosè che ruppe le Tavole affinché non venissero profanate -  spezzare, rifiutare l’idolatria per non attribuire valore di santità a ciò che deriva da impulsi e interessi umani. 
Succede, tuttavia, che interessi umani prevalgono e vengono trasformati in qualcosa di "santo" e, se non immediatamente rigettati e infranti, la santità distorta e contraffatta si trasforma nel suo opposto, in un ostacolo alla convivenza e alla conciliazione.

L’interessante commento di Yeshayahu Leibowitz, è tratto dal suo libro “Accepting the Yoke of Heaven: Commentary on the Weekly Torah Portion”, Urim Publications, 2022 (1° edizione 1990). Il libro è una raccolta di brevi saggi sulla lettura settimanale della Torah, basati sui discorsi radiofonici di 15 minuti che l'autore fu incaricato di tenere nel 1985/86 su Galei Zahal, la stazione radio dell'IDF in Israele.

Buona lettura!
NES Noi Ebrei Socialisti
Gherush92 Comitato per Diritti Umani


Yeshayahu Leibowitz
un commento sulla parashà Vezot Habrachà


Ho avuto un grande privilegio nell'anno che concluderemo domani, l'anno del ciclo di lettura della Torah, in cui mi è stata data l'opportunità e il permesso di dire qualcosa ogni settimana sulla parashà che sarebbe stata letta durante lo Shabbat. Ho anche potuto godere di un vasto pubblico di ascoltatori e spettatori, dai quali, dalle reazioni che mi sono giunte, sia per iscritto che oralmente, ho appreso che alcune delle mie parole sono state ascoltate e hanno suscitato attenzione tra la gente.

In Vezot Habrachà, la Torà si conclude con la morte di Mosè. Anche oggi, nei pochi minuti a nostra disposizione, non potremo fare altro che commentare la grande parashà della benedizione di Mosè al popolo ebraico prima della sua morte e sepoltura. Delle benedizioni che Mosè diede a tutte le tribù d'Israele, vorrei soffermarmi solo su una, perché da essa possiamo trarre conclusioni di enorme significato concreto: la benedizione alla tribù di Beniamino, che, in termini di stile, è molto difficile e il cui significato letterale non è certo. Beniamino è definito l'amato di D-o e ci viene detto che "egli dimora al sicuro... egli (o Lui?) dimora tra le sue spalle" [Devarim 33,12].

I commentari tradizionali – e qui non siamo sicuri se questo sia il significato letterale o il Midrash – riferiscono queste parole al fatto che il Tempio sul Monte Morià si trovava nel territorio della tribù di Beniamino – e se il Tempio è la dimora della gloria di Dio, allora Essa dimora tra le spalle di Beniamino. Ma questo solleva una domanda. Il verso afferma: "… Egli lo protegge tutto il giorno… "[Devarim 33,12]. Tutto il giorno? Quale giorno? Il significato del verso non è per un giorno di 24 ore; il giorno di D-o è l'eternità. Quindi questo implica che la dimora di D-o sia eterna – eppure vediamo che non è stata eterna: il Tempio fu distrutto e il luogo in cui sorgeva fu profanato, e ora vi sorge un tempio straniero. Ma esiste un Midrash sorprendente (Midrash Pitaron HaTorah) dell'epoca dei Geonim (circa 500-900 a.e.v.), che contiene molto materiale tratto da altri midrashim a noi familiari, ma anche che non conosciamo o che sono stati tratti da fonti perdute. In questo Midrash troviamo un commento su "egli (o: "Egli") lo protegge per tutto il giorno; egli (o: "Egli") dimora tra le sue spalle". Afferma che questa benedizione profetica di Mosè si è effettivamente avverata, poiché il Tempio che sorge lì oggi, il Tempio di un'altra religione, non è un luogo di idolatria. Questo Tempio appartiene a una religione che riconosce l'unità di D-o e che adora D-o, anche se non ha ricevuto la Torà e non adora D-o attraverso l'osservanza delle mitzvot. Pertanto, scopriamo che è ancora un Tempio per coloro che adorano veramente D-o. Ciò fu detto al tempo dei Geonim, quando i musulmani governavano la Palestina, e il Midrash precede certamente le Crociate, in cui il controllo del Monte del Tempio passò a coloro che non credevano nell'unità di D-o, secondo la nostra comprensione.

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E ora qualcosa sull'ultimo verso della Torà, con cui concluderemo i nostri discorsi. Gli ultimi versi della Torà raccontano la storia della morte di Mosè e della sua sepoltura. All'inizio della parashà, Mosè è definito "l'uomo di D-o": "Questa è la benedizione con cui Mosè, l'uomo del Signore, benedisse i figli di Israele prima della sua morte” [Devarim 33, 1], mentre dopo la sua morte è definito "il servo di D-o": "Così Mosè, il servitore dell’Eterno, morì in quel luogo, nel paese di Moab, per bocca dell’Eterno. E lo seppellì nella valle" [Devarim 34, 5-6]. Chi lo seppellì? C'è un Midrash (…) che dice: l’Eterno stesso lo seppellì, "fino a oggi nessuno è mai venuto a conoscenza del luogo della sua sepoltura" [Devarim 34,6].

La Torà elogia Mosè: “In Israele non è più sorto un profeta come Mosè, con il quale l’Eterno aveva un rapporto faccia a faccia" [Devarim 34, 10] ; e l'ultimo verso menziona "tutte le opere potenti e tutti gli atti terrificanti che Mosè compì davanti agli occhi di tutto Israele" [Devarim 34,11-12].

Conosciamo le grandi gesta compiute da Mosè davanti agli occhi di Israele. Conosciamo le piaghe d'Egitto, l’apertura del Mar Rosso, la liberazione di Israele dall'Egitto, la manna, le Tavole dell'Alleanza. Rashi, che completa il suo commento alla Torà con un commento a questo verso, sceglie di usare le parole di un Midrash:
"Tutte le gesta potenti e tutti i terribili atti che Mosè compì davanti agli occhi di tutto Israele" – che osò rompere le Tavole davanti ai loro occhi, come afferma: "e le ruppi davanti ai vostri occhi" (Devarim 9,17), e D-o fu d'accordo con lui, dicendo: "le tavole che hai rotto" (Shemot 34,1).

Pertanto, l'opera più grande compiuta da Mosè non fu la liberazione dall'Egitto né la trasmissione della Torà, ma la rottura delle tavole incise da D-o, quando il popolo idolatrava, e le parole sacre riportate su queste tavole avrebbero potuto essere profanate. Spezzare l'idolatria, non santificare valori che derivano da impulsi e interessi umani: questa è fedeltà. La cosa principale nella fede in D-o è non credere in nulla che non sia Divino, non santificare cose che derivano da impulsi, interessi, progetti, ideali e visioni dell'uomo, anche se, in termini umani, sono le più elevate. Quando queste cose vengono trasformate in qualcosa di sacro, devono essere infrante.

E questa fu la grandezza di Mosè, l'uomo di D-o, il servitore dell’Eterno, a cui furono date le tavole "incise da D-o", e che egli ruppe per dimostrare che nessun oggetto è santo. Se coloro a cui l'oggetto è destinato non hanno l'intenzione di servire l’Eterno, ma i propri dèi, la santità può persino trasformarsi in un ostacolo, e questa è una questione di fondamentale importanza.

Oggi assistiamo a un fenomeno terrificante: coloro che sono considerati responsabili della gestione della Torà e della sua osservanza usano nelle loro dichiarazioni formulazioni come "la santità di D-o, la santità della nazione e la santità della terra", nello stesso respiro, in una trinità di santità; queste sono le stesse tavole che furono date al popolo che disse del vitello: "Questi sono i tuoi dèi, o Israele" (Shemot 32,4). La santità è di D-o soltanto: questo è il contenuto della fede. Se a ciò si aggiunge la santità della nazione e la santità della terra, in un unico respiro e nello stesso contesto, la santità si trasforma nel suo opposto. E questo grande esempio ci è stato mostrato da Mosè quando ha distrutto questa santità contraffatta e distorta.
(Yeshayahu Leibowitz)


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Data: 2025-10-08
Autore: NES Noi Ebrei Socialisti

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