UN COMMENTO SULLA PARASHA' DELLA SETTIMANA
Nel mese della teshuvà, Yeshayahu Leibowitz sulla parashà di Shofetim con la sua critica profonda e coraggiosa ci mette in guardia dalle contraddizioni che esistono nella società contemporanea e nello stato di Israele in relazione all’osservanza della Torà e delle mitzvot. La sua esortazione a lottare per un cambiamento sostanziale suona quanto mai attuale.
L’interessante commento di Yeshayahu Leibowitz, è tratto dal suo libro “Accepting the Yoke of Heaven: Commentary on the Weekly Torah Portion”, Urim Publications, 2022 (1° edizione 1990). Il libro è una raccolta di brevi saggi sulla lettura settimanale della Torah, basati sui discorsi radiofonici di 15 minuti che l'autore fu incaricato di tenere nel 1985/86 su Galei Zahal, la stazione radio dell'IDF in Israele.
Buona lettura!
NES Noi Ebrei Socialisti
Gherush92 Comitato per Diritti Umani
Yeshayahu Leibowitz
un commento sulla parashà Shofetim
La parashà di Shofetim è la continuazione diretta della parashà di Re'eh e contiene un gruppo di mitzvot che riguardano principalmente l'organizzazione della comunità in conformità con la Torà, all'interno del quadro del potere giudiziario, amministrativo e statuale. La parashà si riferisce principalmente ai giudici e ai funzionari giudiziari, al potere giudiziario, che ha anche autorità legislativa (qui non c'è separazione tra potere legislativo e giudiziario), e include istruzioni riguardanti la procedura giudiziaria e le leggi sulla testimonianza. Successivamente, si tratta la questione principale del potere esecutivo: deve essere collegato all'istituzione della monarchia? La sezione sul re [Devarim 17,14-20] è discussa nella Torà orale da diversi punti di vista e in diverse direzioni, persino contraddittorie tra loro.
La parashà torna poi alla mitzvà di sradicare l'idolatria e tutto ciò che ne consegue, e questo include alcune pratiche che persistono ancora oggi: la stregoneria e l'evocazione dei morti, e tutte le altre superstizioni che appaiono, a volte ancora oggi, in una veste apparentemente religiosa, ma che, in realtà, non sono altro che l'abominio dell'idolatria sotto una forma diversa. Poi ci sono le leggi della guerra, una parashà di enorme importanza, ma non possiamo affrontarla in questo contesto. La parashà sottolinea con forza il divieto di spargere sangue (che fa seguito alle leggi sulla guerra): le leggi che regolano l'omicidio, le disposizioni speciali per l'uccisione involontaria e l'istituzione delle città rifugio; e, in questo contesto, viene menzionata l'eglà arufà, il rito della giovenca che viene decapitata quando viene trovata una persona assassinata. Ed è proprio in merito all'eglà arufà, su un dettaglio specifico che riguarda l'omicidio alla fine della parashà, che vorrei soffermarmi.
Siamo nel caso in cui è stato commesso un omicidio non "risolto", o, nel linguaggio della Torà, "Se nel paese che l’Eterno, il tuo Signore, ti dà in proprietà si trova un uomo ucciso che giace nella campagna e non si sa chi l’abbia colpito" (Devarim 21,1). In questo caso la colpa ricade sull'intera comunità in mezzo alla quale è avvenuto l'omicidio, e si celebra un rito speciale per far comprendere alla gente l'enormità del fatto che una cosa del genere sia accaduta tra loro. Gli anziani della città "che è più vicina al cadavere" devono riunirsi ed eseguire il rito noto come eglà arufà, e devono dichiarare ad alta voce: "Le nostre mani non hanno sparso questo sangue, e i nostri occhi non hanno visto" (Devarim 21,7) - eppure siamo colpevoli, e quindi – diranno "Perdona il Tuo popolo Israele, che Tu, Eterno, hai liberato..." (Devarim 21,8). Ma nella Mishnà, un testo scritto forse 1.500 anni dopo la Torà, leggiamo: "Quando il numero degli assassini aumentò, il rito dell'eglà arufà decadde". Questo rito è significativo in una società in cui l'omicidio è qualcosa di abominevole e un evento eccezionale. Invece, in una società corrotta e dove l'omicidio è un evento comune, non c'è motivo di fingere di essere sconvolti da un omicidio irrisolto. In una società del genere, c'è una certa dose di ipocrisia in un simile rito. La società deve essere purificata dagli omicidi che accadono quotidianamente e solo allora, quando l'omicidio diventa un evento anomalo, c'è motivo di celebrare quella cerimonia.
Troviamo una situazione analoga per quanto riguarda i crimini sessuali. La Torà stabiliva un processo severo per una donna sospettata di aver commesso adulterio, che veniva messa alla prova bevendo le acque amare. (…). Ora, questo tipo di prova può avere significato solo in una società in cui la castità è la norma, e un caso di sospetto adulterio suscita ripugnanza. Pertanto, nella Mishnà che ho menzionato, si afferma anche: "Quando l'adulterio divenne diffuso, il rito delle acque amare fu abolito". Se una società è satura di immoralità sessuale e licenziosità, non c'è motivo di scandalizzarsi per il caso di una sospetta adultera; si dovrebbe piuttosto cercare di riformare la società. Solo in una società retta, dove l'omicidio è un'eccezione, si deve reagire con l'eglà arufà in caso di omicidio irrisolto. In una società in cui la probità sessuale è la norma, si dovrebbe reagire con l'uso di acque amare in caso di sospetto adulterio. Ma se la società è corrotta, non c'è motivo per queste cerimonie.
Da tutto questo, possiamo imparare molto per il nostro presente. Ci sono alcune istanze halachiche che varrebbe la pena di introdurre (e, naturalmente, bisognerebbe fare uno sforzo per ripristinarle) solo all'interno di una società che, come entità, accetti la validità dell'halachà. Se invece generalmente non la riconosce, allora le richieste di osservare determinati dettagli dell'halacha diventano assurde. In una società in cui ci sono molti assassini, non c'è motivo di fare la cerimonia di eglà arufà, e in una società in cui l'adulterio è diffuso, non c'è motivo di avere le acque amare. In una società e in uno stato che non si basano sul riconoscimento dell'obbligo di osservare la Torah, non c'è motivo di indagare se una specifica legge dello stato sia conforme all'halachà. Dirigendo i nostri pensieri e le nostre azioni solo a questi dettagli, affinché vengano osservati in conformità con l'halachà, e questo nel quadro di una società e di uno stato che non sono in accordo con la Torà e l'halachà, noi trasformiamo la lotta per la Torà e le sue mitzvot in una caricatura.
In una società in cui la vita pubblica, basata sul governo e sulla legge, comporta la gestione di porti e aeroporti durante lo Shabbat, dove centinaia di fabbriche lavorano di Shabbat con il permesso del governo, dove ci sono radio e televisioni governative di Shabbat, dove migliaia di veicoli privati circolano di Shabbat, dove ci sono partite di calcio che attirano decine di migliaia di spettatori di Shabbat, e tutto questo con i rappresentanti religiosi ufficiali che partecipano a questo governo (nel governo centrale e nell'amministrazione delle città), la lotta contro l'apertura di un altro cinema di Shabbat trasforma la Torà in una presa in giro. In una società in cui ampie fasce al suo interno, di tutte le classi sociali, sia istruite che ignoranti, hanno stabilito che "Non commetterai adulterio" e "non ci sarà una prostituta" non si applica, e che tali fenomeni sono persino comprensibili, il requisito che il matrimonio debba essere conforme all'halachà è solo una profanazione dell'istituto del matrimonio religioso, una profanazione della Torà, e serve solo ad aumentare il numero di mamzerim in Israele.
Riparate la società, riparate lo Stato e poi vi sarà permesso, e sarà persino un obbligo, di preoccuparvi che i dettagli all'interno della società e dello Stato siano in accordo con le esigenze della Torà. Finché non vi batterete per un cambiamento dell'immagine del popolo ebraico, non potrete battervi per certi dettagli nello stile di vita dei membri di questa comunità, e certamente non per i dettagli nelle leggi di quello Stato, che la comunità – che non ha assunto per sé il giogo della Torà e delle mitzvot – sta stabilendo per sé stessa.
(Yeshayahu Leibowitz)
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Data: 2025-08-29
Autore: NES Noi Ebrei Socialisti
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