QUEL MOVIMENTO CHE ABBATTE LO STATUS QUO
QUEL MOVIMENTO
CHE ABBATTE LO STATUS QUO
Hamas, consegna subito i nostri fratelli ostaggi rapiti
Mentre leader occidentali fanno a gara per riconoscere lo stato di Palestina come soluzione per un conflitto che da molti decenni contrappone Israele e gli arabi-palestinesi – in ritardo comunque rispetto al cardinale segretario di stato Vaticano Pietro Parolin che ha dichiarato ai microfoni dei giornalisti: “noi lo abbiamo già riconosciuto. Come dite voi, è da mo’ che lo abbiamo riconosciuto” – il leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Marwan Abdel-Al chiarisce in un recente comunicato al giornale francese L’Humanité che la soluzione dei due Stati non esiste più:
“La cosiddetta conferenza per la soluzione dei due Stati non è tanto un’iniziativa di pace quanto il riciclaggio di un’illusione politica che la realtà ha superato. La conferenza, per formato e tempistica, assomiglia a un funerale ufficiale per una soluzione che non esiste più se non nelle dichiarazioni diplomatiche. Ciò che viene presentato oggi sotto il titolo di “soluzione dei due Stati” non costituisce un progetto di liberazione, ma piuttosto una gestione permanente di una tragedia coloniale. (…) I palestinesi non hanno bisogno di altre parole, ma di azioni politiche chiare: il riconoscimento di uno Stato sovrano e indipendente, la rimozione dell’occupazione e la fine delle partnership coloniali occidentali con il regime di apartheid israeliano”.
Questo comunicato usa un linguaggio ambiguo; se da un lato dice che la soluzione dei due Stati è come “il riciclaggio di un’illusione politica”, “una soluzione che non esiste più, se non nelle dichiarazioni diplomatiche”, dall’altro non chiarisce da chi dovrebbe essere governato un eventuale nuovo stato (uno, non due) “sovrano e indipendente” di cui i palestinesi chiederebbero il riconoscimento.
I reiterati rifiuti da parte palestinese di qualunque compromesso o proposta per “due stati per due popoli” avanzati nel corso degli anni non vengono mai menzionati in questi proclami. E così i leader occidentali si illudono che promettere il riconoscimento di un autogoverno (che di fatto Gaza aveva già dal 2005), possa magicamente risolvere tutto, la restituzione degli ostaggi rapiti, le armi in mano ad Hamas e ad altre organizzazioni terroristiche, la questione dei “rifugiati”, i territori contesi, i confini, il nucleare iraniano, l’odio nei confronti degli ebrei di Israele e della diaspora, l’antisemitismo diffuso…
Come scrive ancora Marwan Abdel-Al “la maggior parte dei palestinesi – soprattutto la nuova generazione – è arrivata a considerare questa soluzione una trappola politica. Come si può parlare di “due Stati” quando ci sono progetti di annientamento, pulizia etnica, annessione ed espansione, e ci sono più di 700.000 coloni in Cisgiordania?”
Su ognuna di queste affermazioni si potrebbe argomentare, dimostrando che la guerra a Gaza, come le altre condotte da Israele contro le fazioni terroristiche arabo-palestinesi, non ha mai avuto come obiettivo finale l’annientamento della popolazione palestinese, né l’annessione di Gaza o di territori della Cisgiordania assegnati all’autorità palestinese, ma la sicurezza dello stato di Israele. Ma su questo tema, come sappiamo, la Sinistra è particolarmente sensibile e i leader palestinesi sanno che per fare breccia nei cuori e nelle menti dei democratici di tutto il mondo occorre parlare dei palestinesi in termini di “pulizia etnica”, “apartheid”, “carestia”, “annientamento”, “genocidio”, “colonialismo”.
Nel 1974, in un celebre discorso all’Onu, Yasser Arafat, il leader con un ramoscello di ulivo in una mano e un fucile da combattente nell’altra, aveva dichiarato che “Il sionismo è un’ideologia imperialista, colonialista, razzista; è profondamente reazionario e discriminatorio; ha codici retrogradi, affini all’antisemitismo ed è, a conti fatti, un’altra faccia della stessa medaglia”.
Sono passati cinquanta anni e queste parole, per nulla ambigue – inventate dalla propaganda antisemita cristiana, di destra e di sinistra, e dalla propaganda antisionista di epoca sovietica – vengono ancora oggi ripetute come un mantra dagli attivisti propal, nonostante sia facile dimostrare che Israele ha integrato al proprio interno due milioni di arabi cristiani e musulmani, drusi, beduini e altre minoranze etniche che non vivono affatto in una situazione di apartheid e, infine, che il sionismo non sia per nulla un’“ideologia imperialista”, (come invece l’ideologia panarabista, il cui sviluppo ha assunto connotazioni che possono essere interpretate come tali).
Nonostante la propaganda, tuttavia, come dimostrano gli accordi di Abramo, nel mondo arabo stanno emergendo spinte e visioni culturali diverse, aperte agli scambi commerciali e culturali con Israele (e con il mondo occidentale), orientate verso un futuro di convivenza e sviluppo. Da più parti si sentono voci alla ricerca di nuove alleanze, per esempio il gruppo di cinque importanti sceicchi di Hebron che ha espresso il desiderio di aderire agli Accordi; o l’auspicio per un cambio di regime in Iran per facilitare accordi e per normalizzare le relazioni tra Israele e gli stati arabi; o la dichiarazione del presidente di ANP contro Hamas con l’esortazione a deporre le armi e consegnare gli ostaggi; o, ancora, la decisione ufficiale di questi giorni del Consiglio dei Ministri libanesi di disarmare Hezbollah e il movimento Amal. Per quanto contrastati, questi sono tutti segnali di una trasformazione.
Persino dalla Conferenza per la soluzione dei due Stati, alla quale accenna il leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, e che si è tenuta dal 28 al 30 luglio scorso a New York, conferenza alla quale non hanno partecipato Stati Uniti e Israele e la cui efficacia come strumento di mediazione diplomatica pone seri dubbi, viene la prima condanna degli attacchi del 7 ottobre da parte di tutti i paesi della Lega Araba: “Condanniamo gli attacchi commessi da Hamas contro i civili il 7 ottobre”. I paesi arabi e del Medio Oriente per la prima volta hanno condannato Hamas, di cui chiedono il disarmo e l’esclusione dal governo palestinese, ed espresso chiaramente la loro intenzione di normalizzare le relazioni con Israele.
La Sinistra si svegli! La tradizionale visione manichea tra oppressori e oppressi, tra colonialisti e “razzializzati”, che la propaganda arabo-palestinese da decenni diffonde quotidianamente tramite comunicati e fake-news sui social, oltre che essere arretrata sul piano politico e culturale, ha come obiettivo quello di arrestare il processo di cambiamento in Medio Oriente che molti stati e diverse entità continuano con caparbietà a sostenere.
Questa visione dogmatica, che spesso anche la stampa nazionale rispecchia con titoloni, articoli e narrazioni di maniera, si sta sfaldando, contraddetta da dichiarazioni e fatti, e stupisce vedere ancora come gran parte della Sinistra si faccia manipolare dalla logica della propaganda di Hamas ed altre organizzazioni terroriste, che sono reazionarie e perdenti, invece di sostenere chi, nel mondo ebraico, arabo palestinese, dell'Islam, ed occidentale, con diverse prospettive e sfumature, è ancorato alla realtà di chi crede nella convivenza, negli scambi, nella pace fra i popoli.
Il NES Noi Ebrei Socialisti, sostenitore convinto di questa seconda via, attento ai processi di trasformazione in atto, si fa attore e promotore della Trattativa Culturale con il mondo islamico, in Medio Oriente e nella Diaspora, e per questo chiede ad Hamas ancora una volta, unendosi al coro di appelli e di voci di protesta che provengono da Israele, di liberare immediatamente gli ostaggi rapiti, deporre le armi e arrendersi.
NES Noi Ebrei Socialisti
Gherush92 Comitato per i Diritti Umani
NES Noi Ebrei Socialisti
Per leggere Il Manifesto (clicca qui)
Per info scrivi a +39 371 349 8062 (WA) o gherush92@gmail.com
Data: 2025-08-10
Autore: NES Noi Ebrei Socialisti
quale sarebbe lo stato? voglio ricordare che dopo il colpo di stato di hamas a gaza del 2006 i terroristi di hamas presero tutti gli esponenti del partito fatah e li buttarono giù dalle terrazze dei grattacieli. Anche per questi motivi Abu Mazen capo dei palestinesi della cisgiordania non mette piede a gaza da 22 anni perchè sa che verrebbe subito sgozzato. Sorge spontanea la domanda: quale sarebbe lo stato riconosciuto?
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