UN COMMENTO SULLA PARASHA' DELLA SETTIMANA
Proponiamo l’interessante commento di Yeshayahu Leibowitz alla parashà di Chukkat, tratto dal suo libro “Accepting the Yoke of Heaven: Commentary on the Weekly Torah Portion”, Urim Publications, 2022 (1° edizione 1990). Il libro è una raccolta di brevi saggi sulla lettura settimanale della Torah, basati sui discorsi radiofonici di 15 minuti che l'autore fu incaricato di tenere nel 1985/86 su Galei Zahal, la stazione radio dell'IDF in Israele.
Questo commento sembra molto attuale perché, diversamente da Mosè che si prende la responsabilità degli errori del suo popolo pagandone lui stesso le conseguenze, oggi leader irresponsabili tentano di salvare se stessi a spese del proprio popolo. Sembra persino che “popoli responsabili” si facciano carico di errori e malefatte dei loro governanti.
Buona lettura!
NES Noi Ebrei Socialisti
Yeshayahu Leibowitz
un commento sulla parashà di Chukkat
La prima parte nella parashà di Chukkat è una delle più sconcertanti della Torah: la mitzvà della giovenca rossa (…)
In seguito, la parashà tratta di un grande periodo della nostra storia, qui descritto molto brevemente, ma relativo al periodo dei 38 dei 40 anni che gli ebrei trascorsero nel deserto (…).
In questo lungo arco storico, che viene descritto brevemente, ci fu un evento che, in termini di significato e contenuto spirituale e religioso, è sorprendente e inquietante: il decreto che stabilì che Mosè – il primo liberatore d'Israele (come egli è conosciuto nella nostra tradizione), il fedele pastore d'Israele, l'uomo di D-o e il "servo di D-o", che era stato incaricato di portare Israele fuori dall'Egitto, di ricevere la Torah e poi di condurre Israele nella terra promessa – non sarebbe entrato nel Paese, e sarebbe morto nel deserto. E, come vediamo alla fine della Torah, Mosè non fu nemmeno sepolto nel suolo della Terra di Israele.
Questo episodio è conosciuto nella nostra tradizione come "l’errore di Mosè" e ne siamo sbalorditi. E quando dico "noi", includo anche le generazioni passate, che studiavano la Torah, la approfondivano e la meditavano.
Dio parlò sia a Mosè che ad Aronne nel modo più severo. "Mi siete stati infedeli", "Non avete sostenuto la mia santità" (Devarim 32:51) – ed è per questo che D-o ha decretato che sarebbero morti fuori di Canaan. E noi chiediamo: "In che modo Mosè venne meno alla fede in D-o? Qual era il suo errore? Come ha fatto a non sostenere la santità di D-o?"
Queste questioni non sono spiegate nella Torah. Coloro che hanno studiato e approfondito la Torah hanno sollevato molte e varie ipotesi nel tentativo di trovare il significato dal testo stesso, e non sono riusciti a trovarne nessuna. Varie ipotesi sono state offerte nel corso delle generazioni da commentatori e pensatori, e si può dire che nessuna di esse è soddisfacente.
Tra le spiegazioni puramente formali ci sono quelle secondo cui a Mosè fu comandato di parlare alla roccia, e invece la colpì; o piuttosto che invece di colpirla una volta, la colpì due volte. È superfluo notare che ciò non spiega il "venir meno della fiducia" di Mosè o il suo "non sostenere la santità di D-o", e certamente non spiega la punizione. Anche Maimonide, quando (incidentalmente) si riferisce a questo episodio, offre un'ipotesi secondo cui Mosè fu punito a causa di un difetto che si rivelò qui nel suo carattere: si arrabbiò quando si rivolse al popolo con le parole: "Ascoltate ora, voi ribelli" (Devarim 32:51), dove la sua rabbia era fuori luogo. Tuttavia, Maimonide stesso riporta la sua ipotesi con alcune riserve sul fatto che questa sia davvero l'interpretazione corretta.
Ma è possibile che questo evento abbia una spiegazione più profonda. In ogni caso, una fonte midrashica lo afferma - e vorrei riferirmi a questo. Per capire il significato dell'interpretazione, dobbiamo renderci conto di un fatto che è forse decisivo in ogni tentativo di comprendere la vicenda: il fatto che Mosè stesso non è consapevole di aver peccato. In ogni occasione – e questo è ripetuto tre volte nella Torah – quando Mosè supplica D-o di annullare il suo decreto e di permettergli di raggiungere la meta per la quale ha lavorato per quarant'anni – non chiede mai perdono a D-o per il suo peccato, ma chiede semplicemente che il decreto sia annullato. E centinaia di anni dopo, nella coscienza storica del popolo ebraico, in quel grande capitolo dei Salmi che riassume la storia dell'esodo dall'Egitto, ci viene solo detto: "Irritarono il Signore anche nelle acque di Meriba (della contesa) e Mosè soffrì per causa loro" (Tehillim 106:32). Non fu Mosè a fare il male, ma fu punito a causa dei peccati d'Israele. Perciò ci chiediamo: Mosè peccò o non peccò? Se Mosè, il più umile di tutti gli uomini, non era consapevole di aver peccato, chi siamo noi per cercare i peccati in Mosè? E perché questo decreto contro di lui? Eppure, in quello stesso Midrash, ci viene detto che D-o disse a Mosè riguardo alle sue preghiere per l'annullamento del decreto: "Mosè, con che cosa desideri entrare nel Paese?" Il Midrash vuole dire, e lo spiega in questo modo più tardi: alla generazione che hai guidato non è stato concesso il privilegio di entrare nella terra, e tu, il leader di quella generazione, desideri entrare? Questo è analogo a un pastore il cui gregge è stato fatto a pezzi da animali selvatici: può allora dire: "Adesso vado a casa"? In altre parole, il leader ha una parte negli errori della sua generazione, per gli errori che sono stati commessi sotto la sua guida, anche se lui stesso non è – né legalmente o moralmente, né secondo qualsiasi altro criterio umano – responsabile per i peccati, le omissioni o gli errori di coloro che sono sotto di lui. Eppure egli ha una parte di responsabilità nelle loro colpe.
Questa idea, che è espressa più chiaramente nel caso di Mosè, è nota anche tra le altre nazioni: il leader partecipa ad ogni errore, ad ogni errore per negligenza e ad ogni peccato deliberato che ha avuto luogo sotto la sua guida. Tra i marinai esisteva il concetto di onore, secondo cui il capitano di una nave che affondava non avrebbe tentato di salvarsi se c'era ancora qualcuno a bordo che aveva bisogno di essere salvato; il capitano doveva morire con la nave. E nelle concezioni moderne, nella sfera sociale e politica, ci riferiamo a questo come all'assunzione di responsabilità per ogni incarico politico o ufficio di governo, e il destino di Mosè illustra questo in modo paradigmatico.
Ma questa assunzione di responsabilità è qualcosa che ci manca. E questo la dice lunga sulla qualità dei nostri leader. Siamo arrivati al punto di essere guidati da persone senza alcun rispetto di sé, che tentano di salvarsi a spese dei peccati, delle omissioni e degli errori commessi da coloro che sono sotto di loro, che hanno agito sotto la loro guida. Questo è diverso dal pastore fedele che aveva il popolo ebraico, il quale, quando il popolo morì a causa dei suoi stessi peccati, morì con lui, anche se non c'era errore da parte sua.
(Yeshayahu Leibowitz)
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Data: 2025-07.03
Autore: NES Noi Ebrei Socialisti
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